sabato 16 febbraio 2013

E la marcia per la vita è anche preghiera.


Sono un monaco, e legato alle forme della sana tradizione monastica. Credo nel valore e utilità della preghiera, della mortificazione, dell’austerità, della riparazione e del canto gregoriano. Quando mi è stato chiesto di scrivere due righe per incoraggiare l’adesione alla marcia per la vita del prossimo 23 marzo a Biella, ho sentito quasi di non doverlo fare. “A che cosa servono infatti – mi dicevo – le marce, le manifestazioni pubbliche? Tanto tutto poi rimane come prima. Sfilare con bandiere della pace proferendo slogan per cercare di ottenere un qualsiasi bene è combattere il mondo con i metodi del mondo. Così non va”. La Madonna a Fatima chiede rosari, preghiere, mortificazioni, e attribuisce a questi atti un potere straordinario: con essi possiamo addirittura fermare le guerre e bloccare coloro che sono in pericolo di dannazione eterna. I fanciulli di Fatima vi credettero davvero: non indissero una manifestazione pubblica, non convocarono i giornalisti, non organizzarono nulla per gli altri, ma si sacrificarono di persona nel silenzio legandosi una corda attorno alla vita per poter soffrire un poco e rinunciando alla pagnotta quotidiana dandola da mangiare alle capre, offrendo così il loro digiuno.
Cosa servono queste forme? A niente, obietteranno coloro che non credono al valore sovrannaturale degli atti umani. Eppure la Madonna fu piuttosto chiara nell’indicare che solo questo era il metodo efficace per ottenere qualcosa.
Poi ho ripensato a quella volta in cui, qualche anno fa in Australia, fui coinvolto, obtorto collo, ad una manifestazione a favore della vita, che si sarebbe conclusa di fronte ad una clinica dove si praticavano giornalmente gli aborti. Una volta giunti lì, ci mettemmo a recitare il Rosario, tranquilli, senza atteggiamenti provocatori… non possono forse persone normali recitare qualche preghiera in un marciapiede di una città? Successe il finimondo. I passanti ci fischiavano contro, alcuni ci dicevano parolacce (in inglese, per fortuna non le capivo), chi entrava nella clinica lo faceva a testa bassa nascondendosi; dalla porta uscivano persone con volti feroci e gesti minacciosi intimandoci di smettere, ma in effetti noi non davamo nessun fastidio alla quiete pubblica: semplicemente eravamo lì.
La mia tensione iniziale si trasformò pian piano in forza, in convincimento: stavamo facendo la cosa giusta. Ammiravo enormemente l’organizzatrice della marcia: una giovane donna bionda, alta, serena, che guardava fissa la porta della clinica, emanando forza e dolcezza al tempo stesso. Mi pareva un angelo. Pregava imperterrita, statuaria. Forse qualche lacrima scendeva dai suoi occhi mentre pregava sottovoce. Indimenticabile.
Allora, a quel pensiero, ho cambiato improvvisamente idea pur non cambiando idea. Ossia: sono convinto, oggi come ieri, che ciò che veramente conta sia la preghiera e la penitenza, come dice la Madonna a Fatima, ma la marcia fu ed è tuttora, una penitenza, fu ed è tuttora una preghiera.
E’ penitenza perché ci si espone, ci si fa vedere, ci si fa contare. La gente ci guarda e commenta, vede che ci schieriamo, domani probabilmente saremo oggetto di conversazione nei bar e negli uffici: “Sapete chi ho visto ieri alla marcia per la vita?...” Questo non ci fa piacere, perché preferiamo il vivere quieto di una fede che non disturba nessuno. Essere additati è una penitenza, e per questo è efficace, solo per questo. Così fu anche per Gesù. Il Cristo avrebbe potuto salvare il mondo stando seduto su una nuvole in Cielo, ma non lo fece. Venne nel mondo e prese insulti e schiaffi, fu chiamato bestemmiatore e disturbatore della quiete pubblica. Fu catturato e crocifisso. Ma fu il colpo che massacrò il peccato e la ribellione. Quale immensa e divina efficacia! Altro che dibattiti e conferenze.
E la marcia per la vita è anche preghiera. Sarà infatti preceduta la sera del venerdì da un’ora di adorazione e si concluderà con la celebrazione della Santa Messa in cui si pregherà e basta, senza maledire nessuno, senza urlare, senza sussulti: si eleverà a Dio la supplica degli uomini che implorano pietà per sé stessi e per tutto il genere umano che, come in preda ad una moderna follia, sta distruggendo se stesso in nome della nuova religione dell’uomo. La marcia pubblica sarà inclusa nella preghiera, la parte centrale di un tutt’uno che inizia con la preghiera e finisce con la preghiera, che davvero conta e ottiene.
Ecco perché il 22 e il 23 marzo la marcia sarà manifestazione monastica, tremendamente efficace davanti a Dio. Sarà un atto religioso. Non contiamo di impressionare gli uomini, ma Dio. Non con la forza, ma con la debolezza; non con l’urlo ma con il pianto. Saremo come quell’angelo biondo che, chissà, quante vite avrà salvato. Sarà un atto di fede, sarà un esserci, che davanti a Dio conta più di ogni numero. Umili e pentiti, a nome di tutti gli uomini e donne di Biella. Così, la marcia del 22 e 23 marzo, conterà e sarà efficace. Visibile al tempo stesso invisibile. Ma le cose preziose sono invisibili agli occhi: le capisce il cuore.

p.Serafino Tognetti

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